L’aceto balsamico prende il suo nome dal termine “balsamo” che, nelle antiche civiltà, descriveva una sostanza le cui proprietà rinfrescanti e lenitive portavano generale sollievo a dolori insorti in qualche parte del corpo e contribuivano a curarne le infiammazioni.

Da qui, deriva l’aggettivo “balsamico”, in riferimento al concetto di “salubrità” che contraddistingue, ancora oggi, questo prezioso e benefico condimento.

Attualmente, l’aceto balsamico viene identificato come alimento tipico della cucina italiana, molto apprezzato e diffuso anche all’estero, il cui ingrediente principale, e talvolta l’unico, è il mosto d’uva.

Grazie al processo di invecchiamento a cui viene sottoposto, l’aceto balsamico sviluppa tratti organolettici fortemente caratterizzanti, che lo rendono completamente diverso rispetto agli altri tipi di aceto.

Nei prossimi paragrafi, forniremo qualche accenno sulla storia dell’aceto balsamico, per capire meglio da dove nasce e qual è la sua definizione corretta. Ulteriori approfondimenti sono disponibili in questo articolo sulla storia e la diffusione dell’aceto balsamico.

Chi ha inventato l’aceto balsamico

L’aceto balsamico non ha un unico inventore. La sua origine affonda le radici nell’antica Roma, dove l’aceto di vino veniva già usato sia come condimento sulla tavola che come disinfettante per curare le ferite.

Intorno al III a.C., l’aceto balsamico, ottenuto non più solo dal vino ma dalla cottura del mosto di frutta, fece la sua comparsa e iniziò a essere utilizzato come rimedio naturale per diverse malattie. Inoltre, sia i nobili che la gente del popolo, lo usavano per conservare alimenti freschi, arricchire il sapore di carne e pesce e ne sfruttavano l’elevata acidità per pulire oggetti.

L’evoluzione dell’aceto balsamico è avvenuta nell’arco dei secoli ed è il risultato di un’elaborazione diffusa, ad opera di popolazioni sparse in diverse aree geografiche del mondo e che ricavavano il mosto per fare l’aceto balsamico dai prodotti che crescevano spontaneamente nel loro territorio, tra cui uva, mele, fichi e datteri.

La versione moderna nell’aceto balsamico, così come lo conosciamo oggi, si è evoluta a partire dal Medioevo, in Italia, e più precisamente nella zona emiliana inclusa tra le province di Modena e di Reggio Emilia.

La corretta definizione di aceto balsamico

In Emilia, complice una vocazione al balsamico particolarmente forte, le tecniche e i metodi di produzione dell’aceto balsamico si affinarono sempre più, giungendo a una prima codifica ufficiale nel 1747, quando il termine “aceto balsamico” fece la sua comparsa nei registri ufficiali delle cantine del Palazzo Ducale di Modena.

Nel corso dei secoli, i metodi di elaborazione dell’aceto balsamico conobbero ulteriori evoluzioni, fino a convergere, nei primi anni anni 2000, nei due disciplinari di produzione a cui afferiscono le attuali certificazioni europee:

  • Denominazione di Origine Protetta (DOP)
  • Identificazione Geografica Protetta (IGP)

A ognuna delle suddette certificazioni fanno capo i due tipi di aceto balsamico ad oggi ufficialmente riconosciuti sul mercato, e la cui definizione corretta deve comparire sulle confezioni destinate alla vendita.

Nello specifico, alla certificazione DOP fa capo l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena (ABTMO), mentre alla certificazione IGP fa capo l’Aceto Balsamico di Modena (ABM). È importante ricordare che nella certificazione DOP rientra anche l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia (ABTRE). A differenza dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, il cui intero processo produttivo, incluso l’imbottigliamento, avviene all’interno della provincia di Modena, l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia è invece vincolato al territorio della provincia di Reggio Emilia.

In questo modo, la produzione dell’Aceto Balsamico di Modena, dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena e dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia è regolamentata da leggi e norme che ne tutelano qualità e autenticità, sia in Italia che all’estero.

L’aceto balsamico non è tutto uguale

L’utilizzo della corretta definizione di aceto balsamico, come abbiamo spiegato nel paragrafo precedente, consente di distinguere in maniera inequivocabile le caratteristiche di un tipo di aceto balsamico rispetto a un altro e di poter quindi scegliere l’uno e/o l’altro in modo consapevole e informato.

Queste caratteristiche dipendono da alcuni elementi importanti, che includono materia prima (e ingredienti), territorio e invecchiamento e che sono strettamente collegati tra loro.

1) Materia prima

L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP viene prodotto utilizzando esclusivamente mosti di uve provenienti da vigneti composti, totalmente o in parte, dai seguenti vitigni: Lambrusco, Ancellotta, Trebbiano, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino, Occhio di Gatta. Tali vigneti devono essere coltivati sul territorio della provincia di Modena.

Nel caso dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, invece, si parla sia di materia prima che di ingredienti. Infatti, oltre ai mosti cotti di uve provenienti da vitigni della zona di Modena (Lambrusco, Sangiovese, Trebbiano, Albana, Ancellotta, Fortana e Montuni) parzialmente fermentati e/o cotti e/o concentrati, il disciplinare di produzione prevede anche l’aggiunta di aceto vecchio di almeno 10 anni, in modo da conferire al prodotto i caratteri organolettici tipici, e aceto di solo vino nella misura di almeno il 10%. Inoltre, per la stabilizzazione colorimetrica, è consentita l’aggiunta di caramello in una proporzione che non deve superare il 2% del volume del prodotto finito. È invece vietata l’aggiunta di qualsiasi altra sostanza.

2) Territorio

Il territorio emiliano, in tutta la sua complessità e bellezza, è una componente imprescindibile dell’aceto balsamico, col quale ha un legame molto stretto e importante. L’intera tradizione balsamica, infatti, nasce proprio da una sua profonda conoscenza, non solo per quanto riguarda i vigneti da cui proviene l’uva, ma anche per la cultura e i sentimenti che legano le persone del luogo all’aceto balsamico e alla terra, fatta di pianure fertili, montagne, fiumi, correnti d’aria, nebbie, estati afose e inverni rigidi.

Entrando più nello specifico, l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena viene prodotto interamente sul territorio della provincia di Modena, a partire dalla raccolta dell’uva, all’ubicazione delle botti, attraverso tutte le fasi di acetificazione ed elaborazione, fino all’invecchiamento e all’imbottigliamento. Lo stesso vale anche per l’Aceto Balsamico di Modena, con l’unica eccezione che la fase dell’imbottigliamento del prodotto finito può essere effettuata anche al di fuori della provincia di Modena. Ciò spiega il motivo per cui, a volte, sull’etichetta di Aceto Balsamico di Modena IGP perfettamente conforme al disciplinare di produzione, viene indicata una sede di imbottigliamento diversa rispetto a quella di produzione.

3) Invecchiamento

Con il termine “invecchiamento” si definisce il periodo di tempo durante il quale l’aceto balsamico riposa nelle botti prima di essere prelevato, esaminato e, infine, consumato. Nel caso dell’aceto balsamico prodotto col metodo tradizionale, l’invecchiamento contribuisce a intensificare le caratteristiche organolettiche che lo contraddistinguono e lo rendono così straordinario. L’aceto balsamico tradizionale di Modena viene invecchiato all’interno di botti realizzate con legni specifici per un periodo di tempo che non può essere inferiore a 12 anni, oppure a 25 anni, se si tratta di “Extravecchio”. In alcuni, non rarissimi casi, in cui la cui produzione di aceto balsamico viene tramandata da molte generazioni, l’invecchiamento può arrivare a superare addirittura i 100 anni.

Diverso è ciò che accade con l’Aceto Balsamico di Modena. I tempi del suo invecchiamento, infatti, sono inferiori rispetto al balsamico tradizionale, anche perché tra gli ingredienti viene già aggiunto aceto vecchio di 10 anni. Si tratta, infatti, di un prodotto che, pur rispondendo a parametri qualitativi elevati, è tuttavia meno vincolato al tempo trascorso in botte, dove resta da un minimo di 60 giorno, fino a tre anni, o oltre, come nel caso dell’Aceto Balsamico di Modena “Invecchiato”.

Ad oggi, il mercato dell’aceto balsamico offre un’ampia varietà di aceti cosiddetti balsamici spesso “etichettati” con aggettivi accattivanti quali “tradizionale”, “classico” o “invecchiato”, a cui però non corrisponde un metodo di produzione, quindi alcun parametro qualitativo, riconosciuto.

Ciò rischia di confondere la percezione dei consumatori, sollecitati ad acquistare un tipo di aceto balsamico che pensano essere di qualità, per poi accorgersi, invece, che si tratta di un prodotto dalle scarse proprietà.

Uno strumento efficace per riuscire a individuare la differenza tra un Aceto Balsamico Tradizionale di Modena (DOP) e un Aceto Balsamico di Modena (IGP) è certamente la conoscenza dei prodotti, della materia prima di cui sono composti e dei luoghi a cui appartengono, rivolgendosi possibilmente a produttori esperti e competenti che propongono aceto balsamico certificato e di qualità.

Con questo approfondimento, speriamo dunque di aver fornito informazioni utili e di aver raccontato, come merita, un altro interessante tratto dell’affascinante mondo dell’aceto balsamico.